giovedì 15 luglio 2010

Pregare disturba la quiete

POIRINO - Coltivare lo spirito disturba la quiete pubblica? E’ meglio pregare vicino alle case oppure tra le fabbriche? Fa discutere l’orientamento del Consiglio comunale, che la scorsa settimana ha affrontato la richiesta dei Testimoni di Geova per avere un terreno pubblico su cui edificare una propria “sala del regno”. I politici poirinesi, infatti, hanno deciso due cose. Primo: redigere un regolamento da applicare in questa e nelle future richieste analoghe. Secondo: valutare una variante al piano regolatore, che consenta di costruire chiese, sale, moschee nelle aree industriali. Templi di fianco alle ciminiere... Il passato dell’umanità racconta un’altra storia: templi nel cuore di paesi e città per servire le loro comunità (e mostrare il proprio potere); oppure templi sulle montagne, nei boschi per pregare e meditare senza essere disturbati. Qui, invece, la preoccupazione è rovesciata: sono le funzioni religiose a poter creare problemi alla gente; problemi di parcheggio. Applicando lo stesso concetto, dovrebbero essere relegate tra le fabbriche tutte le attività che inducono traffico: sportelli pubblici, posta, ambulatori... Perfino i bar e i negozi. Invece, pare che le vetrine disturbino meno delle vetrate: la vendita di merci sì, la vendita di spirito no. E’ giusto così? I Testimoni di Geova sono abituati ad essere messi ai margini e l’addetto stampa Alberto Bertone non si scandalizza: «Non ci formalizziamo su queste cose. Purché sia un posto facilmente raggiungibile ci va bene. Anzi, potrebbe essere meno di disturbo per la gente». Con senso pratico, Bertone fa un discorso economico: «Una sala in centro sicuramente costerebbe di più. Dato che faremo tutto con le nostre forze, dobbiamo badare anche al costo del terreno. In ogni caso non ci sentiamo emarginati ». Molto diversa l’opinione di Yassin Lafram, componente del direttivo nazionale dei giovani musulmani d’Italia, che vive a Torino: «Mi pare un’ipotesi assolutamente riduttiva. Come è possibile che in pieno centro ci siano discoteche, bar e pub che creano disagi e su questo si chiude un occhio. Se invece devo pregare devo andare in periferia. O magari nascondermi? ». In effetti, dietro l’indicazione del Consiglio comunale si potrebbe leggere qualcosa di più: il timore che prendano piede religioni culturalmente distanti dall’Occidente. Magari l’Islam: una moschea in centro a Poirino farebbe venire i brividi a più di un politico. In periferia, invece... Ma il sindaco Sergio Tamagnone respinge l’idea di un intento discriminatorio: «Anche se fosse una chiesa cattolica, costruendola in centro nascerebbero sicuramente problemi ». Tamagnone conferma la sua filosofia: «Crea problemi qualsiasi altro tipo di edificio che richiami molto pubblico, anche un supermercato. Comunque, non ho detto che gli edifici di culto debbano andare per forza in zona produttive: va bene anche una zona centrale, se ha spazi per i parcheggi. Però, se è prevedibile che richiamino parecchia gente, incentiviamo una scelta in periferia». Tra i politici dichiaratamente cattolici c’è Franco Gambino, ex sindaco che ha seguito lo sviluppo urbanistico di Poirino dagli anni Novanta. Lui non si sorprende: «Le ultime chiese nei centri dei paesi sono state costruite quattro secoli fa, quando la pressione della mobilità urbana non era paragonabile a oggi. Ora gli spazi sono un po’ ristretti ed è logico che un sindaco si preoccupi d traffico e parcheggi». Secondo Gambino, se gli edifici di culto debbano andare in zone industriali od altrove «sono valutazioni urbanistiche piuttosto che culturali. L’importante è che sia garantita la libertà di culto, a prescindere dalla logistica». Non si sbilancia don Mietek Olowski, parroco a Cambiano e coordinatore dell’Unità Pastorale della zona: «Non credo che centro o periferia siano un problema vero: l’importante è consentire la libertà di fede. Ci vuole buon senso ». Nel buon senso deve trovare spazio anche la conciliazione tra esigenze e sili di vita differenti: «Bisogna stare attenti, perché ci sono orari e modi di esprimersi diversi nelle diverse religioni – considera don Olowski – Certo, se mai costruissero una moschea davanti all’oratorio qualcuno la potrebbe leggere quasi come una concorrenza. E’ giusto che ci sia libertà e autonomia per tutte le confessioni, ma è anche corretto pianificare in modo che non ci siano motivi di frizione fra la gente. Comuque, voglio anche ricordare che in alcuni paesi musulmani non è consentita la costruzione di chiese cristiane, nemmeno in periferia». Chiede di superare gli steccati Lafram: «Bisogna avere il coraggio di affrontare il problema di tutte le libertà di culto. Non si risolvono i problemi mettendo lontani i luoghi di culto. Si evita solo di affrontare il problema. Se c’è la volontà reale di integrare culture diverse le comunità straniere non devono essere ghettizzate. E allora c’è da chiedersi: sono i musulmani o i testimoni di Geova che non si integrano oppure è la società che li emargina?». Gambino, realisticamente, ammette che il timore di vedere fronteggiarsi campanile e minareto ci può essere in molti: «Ci vuole molta prudenza per non innescare inutili frizioni. Poi occorre considerare che ci sono esigenze, modi e tempi diversi nelle varie confessioni. D’altra parte, anche nei paesi musulmani per quel che ne so io, le moschee vengono edificate in zone periferiche o comunque con grandi spazi attorno». Ribadisce l’invito alla cautela Tamagnone: «Bisogna tenere in considerazione tutti i fattori per non suscitare malumori. Magari ingiustificati, ma non per questo meno dannosi ». Ma cos’è più dannoso: la vicinanza fra diversi o la spinta dei diversi verso i margini? «I musulmani sono quelli più presi di mira perché ci sono partiti che creano preconcetti e alimentano le paure della gente - sostiene Lafram - Ma mi chiedo: come possono aver voglia di integrarsi o sentirsi parte di una nazione dei ragazzi arabi che siano sempre costretti a pregare dentro magazzini o scantinati?».


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